Viaggio a Citera

citera 002Viaggio a Citera

In mezzo al Mediterraneo, su un’isola tra il Peloponneso e Creta, stiamo camminando, sotto un cielo blu, fino a una piazza alberata con le immancabili sedie e tavolini dove gli anziani sorseggiano il loro caffè greco. Dopo qualche decina di metri la strada, fiancheggiata da basse case di non più di due piani e tutte imbiancate a calce, diventa più piccola e inizia a salire.

Il sole delle 10 del mattino è già abbastanza forte per farci abbassare lo sguardo, abbacinati dal biancore, e continuiamo a camminare sui ciottoli lucidati dal passaggio. Poi le case finiscono e il serpente di pietra inizia a dirigersi verso i bastioni di una fortezza, che sembra una naturale propaggine della rupe calcarea su cui è appoggiata; il castello di Chora.

Ci godiamo una breve pausa di fresco, mentre passiamo sotto la volta della rampa d’accesso al castello, e poi sbuchiamo nel sole sulla piazza d’armi dove ci aspetta la veduta da cartolina che la nostra immaginazione associa sempre alla Grecia.

Davanti a noi una costa sinuosa fatta di scogliere d’ocra e bianche, ricoperte di macchia mediterranea e boschetti di pini d’Aleppo,  poi la striscia di sabbia bianca della spiaggia di Kapsali, la distesa del mare blu profondo e, a qualche chilometro al largo, l’isolotto di Avgo, in greco uovo, dal quale si dice sia nata Venere in persona. Sullo sfondo le candide vette dei monti di Creta, ancora coperti di neve, e alle spalle la macchia bianca del paese di Chora con suoi tetti rossi di coppi. Tutto questo sarebbe sufficiente, ma la natura ha voluto aggiungere il suo tocco personale, ed ecco che ogni centimetro quadrato, che non sia pietra o cemento, è ricoperto di papaveri, bietole, cardi, camomilla, ingrassabue, valeriana rossa, cavolo selvatico, violaciocca, sileni; tutto così straordinariamente fiorito che sembra di guardare un quadro impressionista.

Ta Kythira pote then that a vroume

citera 001.JPGEcco come ci accoglie Kithira, l’isola di Citera o Cerigo, come era chiamata e conosciuta nelle mappe nautiche del passato, quando ancora era uno scalo delle galee veneziane, un avamposto per avvistare i legni dei nemici turchi. L’isola non è molto frequentata dai turisti stranieri, ma è assai conosciuta dagli italiani che ci vanno per cecare tranquillità. Per i greci invece rappresenta una meta molto ambita ed è legata anche al mito di una canzone cantata da Dimitri Mitropanos negli anni ’70 – Ta Kythira pote then that a vroume, Non troveremo mai Kyhtira – che ne dà una immagine poetica e di luogo dove perdersi con la propria amata metà.

Kithyra , poco più grande dell’isola d’Elba, è sorprendentemente verde rispetto ad altre isole, specialmente le Cicladi. La macchia mediterranea naturalmente fa da padrona, ma non mancano boschi di pini, spesso l’Aleppo, e tanti platani, soprattutto lungo i corsi d’acqua, che sono una bella sorpresa in un’isola essenzialmente calcarea e priva di alte montagne. Tra i ruscelli da visitare sicuramente c’è quello che parte dal villaggio di Milopotamos, nome che è già significativo di quello che ci aspetta; milos infatti vuol dire mulino e potamos, acqua. A fine marzo il villaggio è ancora quasi tutto chiuso, solo il kafenion nella piazza principale è aperto e, cosa curiosa, le sedie messe fuori nella piazza non hanno la seduta impagliata; questa viene messa solo su nostra richiesta. Una soluzione per non farla bagnare dalla pioggia o per lasciarle incustodite anche di notte? L’unico altro negozio aperto in paese è un negozio di erboristeria gestito da una signora olandese che parla anche italiano, dal nome che è un programma; Elicriso. Ci spiega che è già da diversi anni che si è stabilita qui e ci abita anche d’inverno. E’ un posto speciale per raccogliere piante officinali, ci racconta e noi gli crediamo senza dubbio. Non è un caso che uno dei ricordi più originali dell’isola è un piccolo mazzo di fiori secchi di elicriso, anche qui curiosamente chiamati perpetuini.

Milopotamos

citera 007.JPGDalla piazza dove sgorga la polla d’acqua il torrente presto s’incanala in una forra incassata e delimitata da possenti tronchi centenari di platani che ancora non hanno le foglie. L’acqua è cristallina e diventa turchese nelle pozze più grandi, ai piedi delle numerose cascatelle, che scendono su grosse incrostazioni di travertino, a testimonianza della natura calcarea della zona. Il sentiero è una continua scoperta e passa da un luogo all’altro di meraviglie; ora un’altra cascata, qui le rovine di un vecchio mulino, qua un piccolo ponte ad arco che testimoniano l’intensa vita che un tempo, forse solo fino a 50 anni fa, doveva esserci in questa valle, ora rifugio solo di uccelli e solitari escursionisti. La discesa a un certo punto diventa fattibile solo con l’attrezzatura alpinistica e siamo costretti a tornare indietro, ma le sorprese non sono finite perché, continuando sulla strada, e arrivando più a valle, si può seguire il tratto finale del torrente che ci regala un eremo incastonato nella roccia e poi l’arrivo, al dire il vero un po’ avventuroso perché molto ripido tanto che è necessario aiutarsi con una corda, alla bella e inutile dirlo, solitaria spiaggia di Kalami.

Sempre vicino a Milopotamos non si deve perdere la visita dell’antico kastro, un’altra piccola fortezza veneziana anch’essa costruita su ripido bastione naturale. Il leone di San Marco ancor vigila sopra l’arco d’ingresso al castello. Dentro le mura quello che colpisce di più, sono di nuovo le fioriture che non lasciano uno spazio libero, tanto sono rigogliose, e anche il numero delle chiese, tutte piuttosto piccole, ma in numero apparentemente sovradimensionato per la grandezza del borgo. Una sola nota negativa, purtroppo sono quasi tutte chiuse e ci lasciano solo immaginare i probabili affreschi all’interno, che solo in piccola parte si possono ammirare al museo di Kato Livadi, che raccoglie alcune belle icone sopravvissute ai saccheggi, agli incendi e ai furti di secoli.

citera 008.JPGUn altro bel sentiero ci porta a scoprire Paleochora, la terza fortezza che un tempo accoglieva gli abitanti del centro e nord est dell’isola. Dopo aver attraversato alcune colline coperte di cisti e ginestroni, cercato di evitare di pestare orchidee, ofridi, tra cui la Ophris basilissa e iricolor, scille di mare, trifoglio bituminoso Bituminaria bituminos, tulipani, anemoni pavonini  e asfodeli, arriviamo di nuovo a uno sperone di roccia all’incrocio di due vertiginose gole dalle pareti rossastre, il tutto sempre avvolto da una verdissima vegetazione. Qui a farla da padrona sono invece grossi esemplari di euforbia arborescente Euphorbia dendroides, grossi fichi e terebinti che sono cresciuti tra le rovine e di fianco alle numerose chiesette ancora in piedi.  Lungo il sentiero anche centinaia di piccoli Iris unguicularis che risplendono con i loro tepali che vanno dal violetto al giallo con delle finissime venature di bianco. Anche qui siamo soli, in compagnia di qualche capretta.

Per vedere il video di Kyhitira guardate qui…

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