Viaggio a Citera

citera 002Viaggio a Citera

In mezzo al Mediterraneo, su un’isola tra il Peloponneso e Creta, stiamo camminando, sotto un cielo blu, fino a una piazza alberata con le immancabili sedie e tavolini dove gli anziani sorseggiano il loro caffè greco. Dopo qualche decina di metri la strada, fiancheggiata da basse case di non più di due piani e tutte imbiancate a calce, diventa più piccola e inizia a salire.

Il sole delle 10 del mattino è già abbastanza forte per farci abbassare lo sguardo, abbacinati dal biancore, e continuiamo a camminare sui ciottoli lucidati dal passaggio. Poi le case finiscono e il serpente di pietra inizia a dirigersi verso i bastioni di una fortezza, che sembra una naturale propaggine della rupe calcarea su cui è appoggiata; il castello di Chora.

Ci godiamo una breve pausa di fresco, mentre passiamo sotto la volta della rampa d’accesso al castello, e poi sbuchiamo nel sole sulla piazza d’armi dove ci aspetta la veduta da cartolina che la nostra immaginazione associa sempre alla Grecia.

Davanti a noi una costa sinuosa fatta di scogliere d’ocra e bianche, ricoperte di macchia mediterranea e boschetti di pini d’Aleppo,  poi la striscia di sabbia bianca della spiaggia di Kapsali, la distesa del mare blu profondo e, a qualche chilometro al largo, l’isolotto di Avgo, in greco uovo, dal quale si dice sia nata Venere in persona. Sullo sfondo le candide vette dei monti di Creta, ancora coperti di neve, e alle spalle la macchia bianca del paese di Chora con suoi tetti rossi di coppi. Tutto questo sarebbe sufficiente, ma la natura ha voluto aggiungere il suo tocco personale, ed ecco che ogni centimetro quadrato, che non sia pietra o cemento, è ricoperto di papaveri, bietole, cardi, camomilla, ingrassabue, valeriana rossa, cavolo selvatico, violaciocca, sileni; tutto così straordinariamente fiorito che sembra di guardare un quadro impressionista.

Ta Kythira pote then that a vroume

citera 001.JPGEcco come ci accoglie Kithira, l’isola di Citera o Cerigo, come era chiamata e conosciuta nelle mappe nautiche del passato, quando ancora era uno scalo delle galee veneziane, un avamposto per avvistare i legni dei nemici turchi. L’isola non è molto frequentata dai turisti stranieri, ma è assai conosciuta dagli italiani che ci vanno per cecare tranquillità. Per i greci invece rappresenta una meta molto ambita ed è legata anche al mito di una canzone cantata da Dimitri Mitropanos negli anni ’70 – Ta Kythira pote then that a vroume, Non troveremo mai Kyhtira – che ne dà una immagine poetica e di luogo dove perdersi con la propria amata metà.

Kithyra , poco più grande dell’isola d’Elba, è sorprendentemente verde rispetto ad altre isole, specialmente le Cicladi. La macchia mediterranea naturalmente fa da padrona, ma non mancano boschi di pini, spesso l’Aleppo, e tanti platani, soprattutto lungo i corsi d’acqua, che sono una bella sorpresa in un’isola essenzialmente calcarea e priva di alte montagne. Tra i ruscelli da visitare sicuramente c’è quello che parte dal villaggio di Milopotamos, nome che è già significativo di quello che ci aspetta; milos infatti vuol dire mulino e potamos, acqua. A fine marzo il villaggio è ancora quasi tutto chiuso, solo il kafenion nella piazza principale è aperto e, cosa curiosa, le sedie messe fuori nella piazza non hanno la seduta impagliata; questa viene messa solo su nostra richiesta. Una soluzione per non farla bagnare dalla pioggia o per lasciarle incustodite anche di notte? L’unico altro negozio aperto in paese è un negozio di erboristeria gestito da una signora olandese che parla anche italiano, dal nome che è un programma; Elicriso. Ci spiega che è già da diversi anni che si è stabilita qui e ci abita anche d’inverno. E’ un posto speciale per raccogliere piante officinali, ci racconta e noi gli crediamo senza dubbio. Non è un caso che uno dei ricordi più originali dell’isola è un piccolo mazzo di fiori secchi di elicriso, anche qui curiosamente chiamati perpetuini.

Milopotamos

citera 007.JPGDalla piazza dove sgorga la polla d’acqua il torrente presto s’incanala in una forra incassata e delimitata da possenti tronchi centenari di platani che ancora non hanno le foglie. L’acqua è cristallina e diventa turchese nelle pozze più grandi, ai piedi delle numerose cascatelle, che scendono su grosse incrostazioni di travertino, a testimonianza della natura calcarea della zona. Il sentiero è una continua scoperta e passa da un luogo all’altro di meraviglie; ora un’altra cascata, qui le rovine di un vecchio mulino, qua un piccolo ponte ad arco che testimoniano l’intensa vita che un tempo, forse solo fino a 50 anni fa, doveva esserci in questa valle, ora rifugio solo di uccelli e solitari escursionisti. La discesa a un certo punto diventa fattibile solo con l’attrezzatura alpinistica e siamo costretti a tornare indietro, ma le sorprese non sono finite perché, continuando sulla strada, e arrivando più a valle, si può seguire il tratto finale del torrente che ci regala un eremo incastonato nella roccia e poi l’arrivo, al dire il vero un po’ avventuroso perché molto ripido tanto che è necessario aiutarsi con una corda, alla bella e inutile dirlo, solitaria spiaggia di Kalami.

Sempre vicino a Milopotamos non si deve perdere la visita dell’antico kastro, un’altra piccola fortezza veneziana anch’essa costruita su ripido bastione naturale. Il leone di San Marco ancor vigila sopra l’arco d’ingresso al castello. Dentro le mura quello che colpisce di più, sono di nuovo le fioriture che non lasciano uno spazio libero, tanto sono rigogliose, e anche il numero delle chiese, tutte piuttosto piccole, ma in numero apparentemente sovradimensionato per la grandezza del borgo. Una sola nota negativa, purtroppo sono quasi tutte chiuse e ci lasciano solo immaginare i probabili affreschi all’interno, che solo in piccola parte si possono ammirare al museo di Kato Livadi, che raccoglie alcune belle icone sopravvissute ai saccheggi, agli incendi e ai furti di secoli.

citera 008.JPGUn altro bel sentiero ci porta a scoprire Paleochora, la terza fortezza che un tempo accoglieva gli abitanti del centro e nord est dell’isola. Dopo aver attraversato alcune colline coperte di cisti e ginestroni, cercato di evitare di pestare orchidee, ofridi, tra cui la Ophris basilissa e iricolor, scille di mare, trifoglio bituminoso Bituminaria bituminos, tulipani, anemoni pavonini  e asfodeli, arriviamo di nuovo a uno sperone di roccia all’incrocio di due vertiginose gole dalle pareti rossastre, il tutto sempre avvolto da una verdissima vegetazione. Qui a farla da padrona sono invece grossi esemplari di euforbia arborescente Euphorbia dendroides, grossi fichi e terebinti che sono cresciuti tra le rovine e di fianco alle numerose chiesette ancora in piedi.  Lungo il sentiero anche centinaia di piccoli Iris unguicularis che risplendono con i loro tepali che vanno dal violetto al giallo con delle finissime venature di bianco. Anche qui siamo soli, in compagnia di qualche capretta.

Per vedere il video di Kyhitira guardate qui…

Storia di come nasce un video

Tanti anni fa facevo delle belle proiezioni con le diapositive. Usavo due proiettori e con una centralina potevo fare delle belle dissolvenze con le immagini e con l’accompagnamento della musica; erano davvero piccoli reportage di viaggio. Poi l’epoca delle diapositive è finita e siamo entrati nell’era delle immagini digitali. E così mi sono cimentato in piccoli video, rimontando le foto, sempre con l’accompagnamento musicale, che facevo prima con la macchina fotografica e poi, recentemente, sempre più spesso con il mio smartphone. Ma non ero contento dei risultati, anche perché non avevo trovato il mezzo e il programma giusto per fare il tutto il più semplicemente possibile. C’era sempre bisogno dell’ausilio di un pc. Poi l’anno scorso la rivelazione, portata da mia figlia, appena maggiorenne, ma già molto abile nell’uso delle potenzialità dei nuovi telefonini e molto creativa. Guardo con sorpresa e meraviglia il video che ha montato e gli chiedo; “ma come hai fatto?” E così si aprì un mondo di possibilità, di montaggi, di effetti, prima davvero inimmaginabili e soprattutto fattibili con un telefonino!

hqdefaultNacquero così le prime prove fatte nei viaggi in Cappadocia e nella Toscana meridionale degli Etruschi. Prove fatte per impratichirmi delle possibilità di montaggio di immagini ferme, ma anche delle prime sequenza di video, che movimentano molto di più lo spettacolo.

hqdefault1Poi i primi tentativi di costruire una storia con le immagini utilizzando uno dei miei luoghi preferiti; il mio Orto. Un buon risultato frutto di diversi giorni di riprese, baciati da una luce generosa e da un psoto poetico.

hqdefault2Poi la Grecia, con il mio viaggio nel Pelio, mi ha dato la prima possibilità di raccontare un viaggio a piedi con le immagini prese durante il viaggio stesso e montate durante i giorni di cammino. Un lavoro a volte anche faticoso, perché fatto magari la sera prima di dormire, ma estremamente gratificante anche perché è bello condividere le emozioni del viaggio con gli altri componenti del gruppo ancora a ”caldo”.

hqdefault3Poi è stata la volta del viaggio in Islanda, e qui devo dire che sono stato fortunato a vederla con un tempo e una luce magnifici, e quindi il risultato non poteva che essere epico, visto anche le straordinarie emozioni che dà il paesaggio islandese. Su questo video devo dare però qualche informazione in più, soprattutto per quanto riguarda le scelte della musica di accompagnamento ai video che faccio.

Per me la scelta della musica è determinante, forse spesso parto proprio prima dalla musica per creare un video. Bisogna ascoltarne tanta e poi fare la scelta difficile di dire; “si è questa la musica che non solo accompagna, ma potenzia le immagini stesse”. Devo dire che di solito scelgo tra repertori di musica classica o tradizionale, ma una fucina di musiche d’ispirazione sono anche le colonne sonore di film di bravi musicisti. Nel caso islandese, mi ascoltavo in viaggio la colonna sonora del Signore degli Anelli di Howard Shore, e devo dire che era perfetta ad accompagnare visioni di terre sconvolte dagli elementi o scenari di bucolica bellezza. Se c’è un modo in cui potrebbe essere immaginata la terra descritta di Tolkien, l’Islanda o la Nuova Zelanda, se la contendono alla pari. Ed ecco che anche oggi che rivedo il video per l’ennesima volta, vengo ancora incantato dalla suggestione di alcuni passaggi, dove la musica sembra fatta proprio apposta per le mie immagini. Grazie Howard!

hqdefault4Anche per il video di New York sono partito prima con la musica. Addirittura prima di partire mi ero già scaricato l’mp3 della Rhapsody in Blue di George Gershwin, che per me rappresenta un po’ la quintessenza della città. Passati due giorni a testa in su tra i suoi grattacieli e le sue attrazioni architettoniche, è poi stato facile adattare il materiale filmato al travolgente ritmo del musicista americano.

hqdefault5Una prova più difficile è stata invece la creazione del video su Walden e H. D. Thoreau, un luogo e uno scrittore simboli per me, realizzata durante il mio breve soggiorno nel Massachusetts. L’atmosfera invernale e intimistica, le memorie e le suggestioni del luogo in cui aveva abitato Thoreau, sulle sponde di un piccolo lago circondato da boschi, l’evocativo cimitero di Sleepy Hollow, le vecchie case coloniali di Concord, avevano bisogno di una musica particolare. Ed ecco che è venuto in soccorso un musicista abbastanza giovane ma che ha ripreso la scuola di Glass e Nyman; Max Richter, con la sua musica minimalista e d’ambiente. Ho capito subito che era il compositore giusto e la sua musica, ripresa da una traccia di Leftovers, era quella che cercavo.

hqdefault6Anche per il video sull’Etiopia, fatto con il tanto materiale raccolto nell’ultimo viaggio nel Tigrai, ero già partito con una musica in testa che per me ci sarebbe stata bene per unire le immagini di un viaggio tanto particolare. Questa volta era la colonna sonora di un film di guerra ambientato nella vicina Somalia, Black Hawk down, un film di Ridley Scott con la indimenticabile colonna sonora creata da Hans Zimmer con il contributo di altri musicisti. C’è una curiosità interessante su questa scelta di musica; il brano che più mi piaceva e mi sembrava più adatto “Gortoz a Ran J’Attends” che per me sembrava cantato in lingua sconosciuta, ma assimilabile a un dialetto del corno d’africa, è in realtà una canzone del musicista bretone Dernez Prigent, e la cantante, Lisa Gerrard, canta in lingua bretone! Per me comunque rimane uno dei più bei brani musicali mai sentiti e ci sta benissimo.

Pensando ai prossimi viaggi e alle foto che farò, non mi resta che sentire ancora un sacco di musica per accompagnare i miei prossimi video.

Stay tuned sulla mia pagina di youtube!

2017, un altro anno di viaggi a piedi…

IMG_4426Camminare… è camminare… è camminare…è camminare!

Eccoci alle porte del 2017; un altro anno di grandi cammini.

Il 2016 è passato con una bellissima prima in Oman e con delle giornate incredibilmente belle sulle montagne e le spiagge della penisola del Pelio in Grecia.

Poi siamo tornati da un viaggio indimenticabile alla scoperta dell’oasi di Figuig e della valle dello Ziz, e dagli affascinanti paesaggi turchi della Cappadocia, forse per l’ultima volta, se le cose non migliorano in quella nazione.

IMG_3288_15872Abbiamo festeggiato l’12° ritorno alla sempre accogliente isola di Karpathos e poi una prima emozionante, gratificata anche da un tempo straordinariamente bello e caldo, tra la Scozia e l’Inghilterra, sulla mitica St. Cuthbert Way.

Dulcis in fundo un’altra prima in Etiopia, con un emozionante trekking nel Tigrai, alla scoperta delle chiese rupestri di questa zona e di quelle di Lalibela.

Insomma tante cose diverse da vedere e gustare, e tanti nuovi e vecchi amici con cui camminare a fianco.

Il 2017 inizierà invece con un nuovo Social Trekking, questa volta nella città di Pistoia, promossa come capitale italiana della cultura, per scoprire i suoi segreti nascosti.

Poi di nuovo la curiosità dell’Iran, una nuova, ma antica meta, che da poco si è discoperta agli appassionati dell’escursionismo. Deserti, rovine, oasi, fortezze ci aspettano in un paese che per ora ha saputo coniugare tradizione e modernità ed è ancora da scoprire nei suoi sentieri e con la sua gente.

Poi si continua con un altro viaggio che da un po’ di tempo mancava nel mio programma, ma che ripropongo volentieri; l’Alpujarra.  Cammineremo di nuovo tra i pueblos blancos sulle pendici della Sierra Nevada, sulle orme dello scrittore Gerald Brennan.

Poi si parte con una nuova avventura, il Vietnam del nord, un itinerario da provare per la prima volta e per conoscere paesaggi e popoli di questa nazione che ha ancora conservato le sue tradizioni. Qui concluderemo con una visita alla baia di Ha Long, una delle meraviglie naturali dell’Oriente.

karpathos grecvia vergari waldenPoi ritorneremo nella Grecia continentale, in un suo angolo nascosto tra le montagne e il mare; la penisola del Pelio, per un itinerario davvero inconsueto, ma che l’anno scorso ci ha regalato molte emozioni.

Poi un’altra prima tutta da provare; Bali! Lo so che è un isola turistica, ma noi andremo a cercare sentieri poco battuti e comunque, con i suoi vulcani e le sue spiagge e la sua straordinaria gente, sembra bella davvero.

Se poi avete voglia di riprendere a camminare in settembre e ottobre vi aspetta di nuovo Karpathos, per un giro nella parte nord dell’isola, dove impareremo a cucinare i piatti tipici greci, a camminare su sentieri da capre, a vivere in villaggi solitari e a fare il bagno in spiagge solo per noi.

Dulcis in fundo due piatti dal sapore estremo, ma assai particolare; una prima in Galles, lungo la costa della sua penisola più solitaria, tra prati, mare e nuvole, e un gradito ritorno in Etiopia, nella regione del Tigrai, fra monasteri e chiese copte e villaggi tradizionali sperduti tra le ambe di questo paese per noi misterioso, ma assolutamente da visitare.

Penso che possa bastare per un anno di cammino…

A presto

Un video per il 2017…

I viaggi Walden…

 

 

Islanda, terra di muschi e di folletti

lupini-2-picL’Islanda è una terra che ti stupisce.

Ho girato molto ma devo dire che non mi era mai capitato prima di essere sorpreso dalla bellezza non solo ogni giorno sempre di più, ma anche a ogni svolta di strada, a ogni baia, a ogni fiordo, a ogni ora, soprattutto durante gli interminabili tramonti di giugno, dove il sole sembra rimanga incastrato nel cielo e non abbi nessuna voglia di andare a dormire, e se dorme, dorme con un occhio solo e per molto poco!

C’è un detto islandese molto carino che recita; se vi perdete in un bosco non vi perdete d’animo, basta alzarvi in piedi e vi troveranno subito. E in effetti i boschi sono molto rari nell’isola; l’unico degno di rilievo è quello di betulle sotto le imponenti pareti di roccia del Asbyrgi Cliffs, uno dei luoghi sicuramente più magici dell’isola.

Asbyrgi cliffs islandaMagico non solo per la bellezza del luogo –  immaginatevi un enorme anfiteatro naturale di quasi 3 chilometri, circondato da tre lati da una parete verticale di basalto alta un centinaio di metri, completamente ricoperto da betulle, larici e salici su uno strato di sassi ricoperti da morbido muschio e licheni – ma perché questo è considerato uno dei luoghi più sacri di tutta l’Islanda. E’ qui, raccontano le leggende islandesi, che uno degli otto zoccoli del cavallo di Odino abbia scalciato sulla terra la sua impronta, ma è anche qui che, senza sforzarsi tanto, tra le colonne di basalto macchiate dai licheni, si possono vedere le sagome, le forme di Elfi pietrificati da un potente stregone. Se vi inoltrate nei silenziosi sentieri che percorrono il bosco e vi affacciate al laghetto di Botnstjorn, caperete da soli perché questo luogo è considerata la capitale dell’huldufolk, il popolo nascosto, la strana popolazione islandese di elfi, fate e nani che normalmente si nasconde sottoterra  alla vista degli uomini.

case per gli elfi islandaSe a noi una cosa del genere ci fa sorridere, non è così per un islandese che non solo ci crede, ma giura anche di averne visto qualcuno e ci sono persino commissioni pubbliche che si riuniscono, soprattutto in occasione di costruzione di strade o edifici, per appurare che il sito scelto non vada a danneggiare eventuali abitazioni e residenze del hulufolk. E così non deve stupire l’uso e la consuetudine di vedere, nei giardinetti davanti alle villette islandesi, altre piccole casette, di solito tre, fatte apposta per ospitare il popolo nascosto, con magari un piccolo nano di cemento che ti saluta.

muschio islandaMa ritorniamo all’Islanda e alla sua bellezza e ai muschi. Se ne siete amanti qui potete trovare il vostro paradiso e vedere tutte le sfumature dei suoi verdi – che vanno dal verde asparago, al verde giada, al verde foglia di te, al verde olivina, al verde pistacchio, al verde veronese, al verde smeraldo, al verde primo e tutte le sfumature nel mezzo – e potrete passeggiare sopra i suoi morbidi cuscini che ricoprono le colate laviche più vecchie e che ti fanno sembrare di camminare  su un materasso ad acqua.

D’altra parte qui con tutta la ricchezza d’acqua, con il clima spesso piovoso, con una temperatura non troppo elevata, il muschio ha il suo habitat ideale, per non parlare poi delle pareti accanto alle numerose cascate, investite dall’aerosol del getto d’acqua, che aumenta ancor di più l’umidità dell’ambiente e quindi la crescita di questo particolare organo vegetale.

cascata di Seljalandsfoss picAndate alla cascata di Dettifoss o di Seljalandsfoss per vedere di cosa è capace la natura, nel far crescere il muschio anche su pareti pressoché verticali, fin dove arrivano gli spruzzi portati dallo spostamento delle masse d’acqua.

Se poi con i muschi siete soddisfatti passiamo alla voce lupini. Si, le distese selvatiche di lupini sono incredibili! Portati nel secolo scorso dall’Alaska, simile nelle condizioni climatiche e di emisfero, per arricchire il terreno con le loro radici azotofissatrici, hanno in breve dilagato in ogni parte dell’isola e addirittura si stanno prendendo dei provvedimenti per estirparli o contenerli, perché chiaramente con la loro densa fioritura, soffocano e si sostituiscono alla flora autoctona. Nella zona dei fiordi occidentali ci eravamo imbattuti in grandi prati di lupini e ci sembravano già fioriture eccezionali, ma quando siamo passati nella costa meridionale, attraverso le grandi distese detritiche dei sandur, siamo rimasti esterrefatti dall’immensità di tali fioriture, estese per chilometri in ogni direzione. Naturalmente per gustarsi tale spettacolare fioritura bisogna venire in Islanda nella seconda metà di giugno. Il colore blu, screziato di bianco della loro fioritura si intona perfettamente al cielo artico dell’Islanda, con il suo azzurro carico macchiettato da cirri e cumuli bianchi e grigi.

lupini islandaUn accenno a parte a queste grandi distese desertiche chiamate localmente sandur, termine che poi è entrato nel linguaggio corrente geologico proprio per indicare delle grandi distese di detriti alluvionali creati dall’acqua di fusione dei ghiacciai. In effetti la zona intorno al grande vulcano Vatnajokull, la terza calotta glaciale per estensione dopo l’Antartide e la Groenlandia, è storicamente una produttrice di enormi inondazioni, chiamati localmente jokulhlaup, dovuti ai vulcani attivi che periodicamente sciolgono parte della calotta ghiacciata. Non è una caso che tutta questa zona fosse la meno abitata e che fino agli anni 30 del secolo scorso era pressoché impossibile da attraversare. Nel 1996, l’eruzione di un vulcano sotto il ghiacciaio, provocò l’ultima disastrosa jokulhlaup, sciogliendo 45.000 metri cubi d’acqua, che spazzo via in più punti la Hringvegur, l’unica strada asfaltata che percorre tutta l’isola, costringendo, chi abitava nella zona orientale, a farsi quasi mille chilometri per arrivare a Rejkiavik o a Vik.

salice nano islandaSe poi siete amanti dei bonsai qui potete vedere tanti esemplari di betulle nane, come la betula pubescens, e di salici, come il salice artico salix arctic, il salice lanuginoso salix lanata, il salice nano salix herbacea, che si sviluppano in altezza per poche decina di centimetri e non di più, sopravvivendo solo così al vento e alla neve. Eppure un tempo, prima dell’arrivo dei vichinghi nel secolo X circa, le cronache parlano di una terra assai boscosa, ma secoli di sfruttamento intensivo, vuoi per riscaldamento, sia per la costruzione di case e navi, hanno fatto si che di alberi ne rimangano davvero pochi. Di menzione i bellissimi e antichi sorbi, sorbus aucuparia,  forse tra gli alberi più vecchi dell’Islanda, presso una delle chiesette più belle e caratteristiche di tutto il sud dell’isola, chiamata Hofskirka. Qui gli alberi proteggono ancora la semplice costruzione, con le ripide falde del tetto di torba, e fanno ombra alle semplici tombe che, se non fosse per la croce sopra, apparirebbero aiuole rialzate pronte per essere usate per piantare cavoli e altre verdure.

cimitero di Hofskirka islandaDa ricordarsi poi di una delle piante più utilizzate dalle massai islandesi per fare una gustosa marmellata; il rabarbaro. Con un clima umido e fresco come quello islandese la pianta cresce che è una meraviglia e infatti spesso si vedono le enormi foglie cresciute anche in maniera selvatica, spesso circondata da antichi muretti a secco, probabilmente per preservarla dall’essere mangiata da cavalli e pecore al pascolo. Da provare assolutamente quella fatta in casa dalla famiglia Finnbogi, che gestisce da generazioni la sua tradizionale casa con il tetto d’erba di Litlibaer, e prepara sul momento gustosi waffel con panna e, naturalmente, marmellata di rabarbaro o di mirtillo con una bella dose di panna montata.

orchidea islandaIn Islanda poi capita poi di fare anche incontri inattesi, come con un orchidea cresciuta nella sassosa morena di un ghiacciaio, o possiamo anche impiegare il nostro tempo a cercare di riconoscere le varie specie di alchemilla – ci sono la vulgaris, la mollis, la alpina e faeroensis – e probabilmente rimarremo incantati più di una volta dal luccicare argenteo delle foglie della potentilla anserina in primo piano, sullo sfondo di un susseguirsi di montagne verdi screziate del bianco di nevai, che il tenue sole estivo non riesce ancora a sciogliere.

Qui per vedere un bel video sull’Islanda!

 

 

 

Goldene Wörter Weg

parole d'oro vergari 1Il sentiero per le “Parole d’oro” è la nostra proposta per arrivare a piedi in una delle più nascoste e particolari valli delle Alpi del Träumenberg, piccolo regno, ancora indipendente, della dinastia dei Herzenfeld che da secoli governano, con saggezza, questo angolo di montagne.

parole d'oro vergari 2Per alimentare di acqua potabile la capitale del regno e il castello di Hofmanstall, nel secolo scorso fu costruito tutto un sistema di captazione e di raccolta delle sorgenti della valle di Zauber, che ancora oggi è un mirabile esempio di architettura, che si armonizza all’ambiente circostante in maniera mai più ripetuta.

parole d'oro vergariPer commemorare l’impresa fu scolpita, sulla spalletta di uno dei tanti ponti che attraversano la valle, una lunga iscrizione che poi fu colorata con lamine d’oro, a perpetua testimonianza dell’opera e per suggellare, come con un incantesimo, la suggestione e la magia del luogo, e ancora oggi, basta dire “devo andare alle Parole d’Oro” per avere indicazioni ai valligiani sul percorso da seguire.

Noi lo percorreremo integralmente, dormendo in semplici Herberge e bevendo sempre la buonissima e leggerissima acqua proveniente dall’acquedotto che, a detta degli esperti, è una delle più buone del mondo.

Dai “Viaggi fantastici di Walden raccontati da Abulabaz”

Se invece volete viaggiare davvero andate qui…

Una camminata sul Vallo 2° parte

IMG_3288_15872Vista la scarsa densità abitativa delle zone percorse – pochi villaggi e solo fattorie isolate – delle provvidenziali e artigianali box, provviste di snack e bibite fresche, vengono in soccorso degli assetati e affamati walkers, che lasciano il loro obolo nelle honesty box, piccoli salvadanai pubblici, a dimostrazione che qui il bene privato, ma anche ad uso comune, è oltremodo rispettato.Nei primi due giorni il muro s’intravede appena, più per il vallo, cioè la trincea che i romani avevano scavato davanti all’opera muraria vera e propria, che per altro, essendo stato depredato per secoli delle sue belle pietre già squadrate per costruire castelli e chiese nei pressi, ma spesso lo delimitano grandi alberi – faggi e aceri soprattutto – che non lasciano dubbi del suo antico uso come confine o come strada un tempo molto più frequentata.

Dormendo in una fattoria di vicino Walton, in una vera farm inglese, con centinaia di capi di bestiame a giro per i pascoli vicini, assaporiamo per la prima volta il fascino di una vecchia dimora carica di storia. Con i dipinti degli avi – non mancano colonnelli e generali – attaccati alle pareti, sciabole in bella mostra, collezioni di porcellane e una bella birra servita in un boccale di peltro, manca solo di parlare del tempo e del raccolto per completare l’ambientazione edoardiana della situazione. La colazione alla mattina non è da meno, e oltre alle uova e alla classica pancetta fritta, non mancano i sanguinacci e un po’ di haggis, il tipico piatto scozzese fatto con interiora di pecora. E’ qui che troviamo anche il primo esempio di ah-ah, il tipico fossato che delimita il prato della dimora aristocratica dai pascoli e che impedisce agli animali di rovinare il giardino appena rasato o di mangiare le bordure fiorite del giardino padronale fatto di dalie, aster, rose e nasturzi.

IMG_3101Lasciamo la fattoria seguendo un grande viale di faggi maestosi, increduli, noi che siamo abituarli a vederli quasi sui crinali dell’Appennino, a nemmeno 200 metri di altezza sul livello del mare. Sono così vecchi che forse hanno visto passare le schiere di Enrico VIII mentre andavano a bruciare le cattedrali di Jedburg e Melrose e sicuramente le armate di Cromwell, mentre andavano verso la Scozia.

Poi finalmente il muro arriva davvero. Come un serpente gigantesco che si mette a prendere il sole, ecco che il Vallo segue, su e giù, le spettacolari Sewingshields Hill e le Cuddy’s Crags, da una parte dolci colline coperte di erica e felci, dall’altra ripida scarpata basaltica vecchia più di 200 milioni di anni.

IMG_3340_15923Ai loro piedi i laghi di Bromlee e di Greenlee riflettono, nella loro acqua scura, il cielo azzurro e i colori autunnali della brughiera intorno. Sulla Sicomore Gap, una suggestiva valletta tra un pendio e l’altro, un gigantesco acero sembra l’ultima solitaria sentinella di un esercito ormai scomparso di grandi boschi che un tempo popolavano questo lembo di terra.

Nonostante siano pochi i villaggi attraversati, una cosa che stupisce è la cura con cui gli inglesi tengono i loro giardini. La domenica soprattutto, sono tutti indaffarati a sistemare il loro angolo di verde, a potare, tagliare l’erba, vanghettare le aiuole, fare due chiacchere con te che gli chiedi; “Ma come fa ad avere delle dalie così belle?”.

IMG_3069_15661Passiamo poi dal villaggio di Newtown, anonimo luogo dell’Inghilterra se non fosse che qui la cura dei giardini è portata all’estremo e non a caso, alcune targhe sulla casa più vecchia del paese, ci dicono che ha vinto il concorso Cumbria in bloom per ben 5 anni di seguito e non stentiamo a crederlo!

I lindi cottage sembrano appena riverniciati, le siepi di bosso e di tasso appena potate, i fiori in pieno boccio nonostante la stagione, i pratini senza una foglia fuori posto e perfettamente sagomati come l’acconciatura di una sposa appena uscita dal parrucchiere. Insomma, tanto di lode agli invisibili giardinieri, di cui non vediamo il corpo, ma il bel lavoro quotidiano.

Anche l’arrivo a Newcastle avviene lungo il bel fiume Tyne, anch’esso segnato dalle maree, tra grandi viali di ippocastani e farnie che all’improvviso si aprono in grandi campi aperti dove si gioca a cricket o a calcio, seguitando poi su ombrosi vialetti, è facile incrociare coppie che portano a spasso i loro cani o giovani che fanno jogging.

IMG_3420_16003Solo un tratto di due chilometri, accanto all’enorme complesso della Rolls Royce, rompe l’incanto della tranquillità del paesaggio semiurbano inglese, fatto di ampi spazi verdi e ordinate casette tutte uguali, con le loro tipiche bow windows. Poi le sagome degli arditi ponti di ferro, situati al centro di una delle città più moderne dell’Inghilterra, ci vengono incontro a ricordarci il suo passato, di culla della civiltà industriale. Fu proprio qui che Stevenson fece passare la sua prima macchina a vapore, dando l’addio per sempre al tiro animale, iniziando una nuova era.

Ma dopo i grandi tralicci imbullonati ecco la nuova sfida della moderna Newcastle, il Gateshead Millenium Bridge, il curioso e suggestivo ponte che invece di aprirsi o sollevarsi come la maggior parte dei ponti, per permettere il passaggio delle navi, bascula, portando il piano stradale ad alzarsi fin quasi a 90 gradi. L’orario varia da giorno a giorno e a seconda delle maree, ma lo spettacolo è garantito e attira sempre frotte di turisti.

Continuando lungo il fiume, passati i resti di quelli che furono alcuni dei cantieri navali più grandi e moderni dei primi del ‘900 – qui fu costruito il mitico Mauretania, detentore per ben 20 anni del record di traversata dell’Atlantico – e di cui non rimane quasi niente, troviamo invece l’ultima testimonianza del Vallo, qui, su quella frontiera a due passi ormai dal Mare del Nord. Non rimangono che i perimetri delle caserme e della piccola cinta muraria dell’antico fortino costruito dai romani, ma il museo vale la visita per fare un riassunto di tutto il cammino percorso e delle epoche storiche attraversate in questa settimana di cammino.

IMG_3434_16017Ci sono gli immancabili gadget del percorso, magliette, armature e spade di plastica, libri per imparare il latino, tante guide per chi comincia l’avventura o per chi l’ha finita e vuole tornare a casa con un ricordo in più. Ritiriamo il nostro diploma e ci dirigiamo alla fermata della metro che ha le scritte di servizio in inglese e in latino; “Noli fumare” segnala un cartello.

Il Vallo è finito, ma già si sta preparando un’altra avventura, questa volta un po’ più a nord, ma sempre al confine tra Scozia e Inghilterra, sulle tracce di uno dei grandi santi inglesi del VII secolo; San Cutberto.

Altre chiese, castelli, ma anche altri alberi, fiori e paesaggi incredibili ci aspettano!

Per saperne di più e magari camminare in tranquillità sul percorso scegliete Walden…

Puju Tul

puju tul vergari 2La città perduta di Puju Tul è ben nasconsta nella foresta di Tallimpoco, nel nord dello stato del Curazao.

Scoperta da poco, da un cacciatore di frodo di pappagalli, è stata esplorata da una spedizione archeologica dell’Università di Paranao.

Ma ancora molto rimane da scoprire e da capire.

puju tul vergari 1Per arrivarci occorre camminare diversi giorni su sentieri nel bosco che in poco tempo vengono cancellati dalla vegetazione o lungo misteriosi solchi che tagliano le colline tufacee della regione. Misteriosi perché sembrano artificiali, antichi, e non si comprende ancora né chi né come gli abbiano potuti scavare.

Centro dell’antico insediamento sembra sia il complesso di Puju-Ha, dove si ritrovano vicini, un complesso ipogeo da cui si entra attraverso un arco ogivale e un luogo di culto legato a riti di purificazione presso una suggestiva cascata.

puju tul vergari 3Noi ci arriveremo grazie all’appoggio degli indios Palon, che ci accompagneranno lungo sentieri che solo loro conoscono e dormiremo nelle loro palafitte, condividendo per qualche giorno anche la loro vita quotidiana.

Per tre giorni poi contribuiremo, aiutando i team di archeologi sul posto, a cercare di decifrare qualcosa di più di questo misterioso luogo che pone nuovi interrogativi sulla civilizzazione di questa area del continente.

Dai “Viaggi fantastici di Walden raccontati da Abulabaz”

Se invece volete viaggiare davvero andate qui…

 

Labyrintti

labirinto vegari 1L’isola di Labyrintti è la più grande dell’arcipelago di Oevattør, centinaia di isolotti sparsi per il Mare di Børing, in gran parte disabitate e coperte di foreste. Qui l’inverno è lungo, ma non freddo perché mitigato dalla calda corrente oceanica.

Le isole furono per secoli rifugio di santi e monaci che avevano studiato un ingegnoso sistema per potersi muovere e meditare camminando, in spazi relativamente ristretti; costruivano labirinti di pietra o comunque percorsi tortuosi delimitati da sassi, presenti in gran numero e affioranti dal suolo di tutte le isole.

labirinto vergari 2Oggi i monaci sono quasi spariti, non è facile vivere isolati per mesi, ma i percorsi sono ancora mantenuti e conservati e stanno diventando un luogo di destinazione privilegiato per gruppi che praticano la meditazione, il contatto con gli elementi della terra e l’esplorazione delle energie ctonie telluriche.

labirinto vergari 3Nel nostro viaggio visiteremo e cammineremo lungo i Labyrintti più belli e emozionanti delle isole, spostandoci da uno all’altro con le piccole barche dei pescatori e dormendo in tenda nella magnifica solitudine di queste terre e ogni giorno percorreremo a piedi nudi i loro disegni sulla terra nuda.

Dai “Viaggi fantastici di Walden raccontati da Abulabaz”

Se invece volete viaggiare davvero andate qui…

The water way

water trekking vergari 1La Water way è uno spettacolare percorso che si compie solo camminando in mezzo all’acqua seguendo canali, fiumi, torrenti nella zona delle Water Mountains, composte prevalentemente di scisti e quindi ricche di acque superficiali.

Il tracciato parte da Seven Falls, una zona ricca di cascate, per continuare lungo i fiumi di Stone River e del Pebble Creek, lungo un bellissimo greto di ciottoli colorati frutto di una singolare miscela di litologie differenti.

water trekking vergari 2Bellissima è poi la traversata seguendo le channels costruite nel secolo scorso per irrigare le praterie delle Lowerlands.

Non perdete poi le gole dell’Anguilla che si snodano per svariati chilometri tra pareti verticali alte decine di metri e spesso distanti poco più di un metro, il tutto nell’acqua tiepida provenienti dalle Bubbling Ponds.

water trekking vergari 3Non occorrono scarponi per percorrere questo tracciato ma comode e robuste scarpe da scoglio o sandali da trekking con la protezione sulle dita per evitare di sbattere sulle pietre.

La sera si bivacca sulle anse sabbiose dei fiumi accanto a un bel fuoco di rami secchi portati dalla corrente del fiume durante le piene invernali.

Dai “Viaggi fantastici di Walden raccontati da Abulabaz”

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