Arriviamo a Güzelyurt per la strada più lunga, ma sicuramente più bella, passando per le montagne, dopo essere partiti dal misterioso lago vulcanico di Acigol, in fondo ad un cratere di un vulcano spento da migliaia di anni, ma ancora in grado di scaldare l’acqua fino a 60 gradi di alcune sorgenti termali. La lunga salita su un altipiano verde, popolato solo da distanti pastori, sembrava un viaggio senza tempo, tanto le variazioni sull’orizzonte erano minime. Poi, alla fine, la discesa verso la valle di Ihlara, dominata all’orizzonte dai due picchi maestosi del vulcano Hasan, ancora coperto di neve e l’arrivo alla cittadina, la sua piazza centrale gremita di gente al tavolo dei caffè, giovani provenienti dalla vicina sede universitaria e da anziani a giocare a backgammon.
Chiamata in passato Gelveri, Guzelyurt era una cittadina molto più greca che turca, sebbene nel cuore della Turchia stessa. Qui, da secoli, le famiglie greche di religione ortodossa vivevano in armonia con la minoranza musulmana. Qui era cresciuto San Gregorio Nazianzeno, nel IV secolo dopo Cristo, uno dei quattro maggiori rappresentanti della chiesa ortodossa e forse anche lui si era rifugiato in una delle sale della città sotterranea, che si possono visitare ancora oggi, chiudendo dietro di se le pesanti porte simili ad enormi macine.
A poca distanza dalle ville signorili dei mercanti greci, costruite con i proventi del loro proficuo commercio dei prodotti della regione con Istanbul o Smirne, si estende una valle silenziosa e percorsa solo dalle mucche al pascolo dove si aprono centinaia di abitazioni e più di cinquanta chiese e monasteri scavati nella roccia vulcanica. Un posto assolutamente da non perdere per una passeggiata alla luce del tramonto.
Da un giorno all’altro però i ricchi mercanti greci e le loro famiglie dovettero fare le valigie, o forse non ebbero nemmeno il tempo di fare quelle, e furono costretti ad andare in Grecia, dove si trasferirono in villaggi e panorami completamente diversi da quelli dei loro antenati. Incapaci di parlare il greco corrente, questa generazione, si portò dietro una nostalgia e un senso di smarrimento che non è mai scomparso e che l’ha accomunate alla stessa sorte riservata alle famiglie turche che dovettero lasciare nello stesso momento le loro case nel territorio ellenico, lasciare le tombe degli avi, i campi, per arrivare in una terra straniera anche per loro.
Tutto ciò avveniva nel 1924, alla fine di una guerra poco conosciuta, ma sanguinosa e senza quartiere tra Greci e Turchi, che mise fine a secoli di convivenza, anche se non sempre pacifica, di popoli e religioni diverse. Ancora alcuni anziani ricordano qualcosa di quando erano bambini e ogni anno, a luglio, si celebra una festa dell’amicizia tra i discendenti delle due comunità disperse, ma certe ferite non si risaneranno mai più.